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Racconto Breve

Racconto breve: Un ombrello in un giorno di pioggia

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Salve lettore, sono Biagio: fondatore della casa editrice Dokusho Edizioni.
Come introdotto nel nostro post “Come scrivere una light novel: I primi passi” che trovi sulla nostra pagina Instagram, il primo passo per diventare uno scrittore è scrivere!

Ciao sono Pi, l’assistente.
Insieme al post, abbiamo dato un piccolo incentivo: pubblicheremo
sul nostro sito i racconti brevi più belli che i nostri lettori ci avrebbero inviato.

Partiamo con: Un ombrello in un giorno di pioggia
di Claudette!
Qui trovate il suo profilo: https://www.instagram.com/claudettebooks/

Il racconto è stato illustrato dalla nostra illustratrice (grazie Giulia)
ed è stato pubblicato senza apportare alcuna modifica al testo.
Lo scopo di questa iniziativa, infatti, è semplicemente scrivere. 😄

Se vuoi provarci anche tu, ti rimando al link dedicato:
Il primo passo per scrivere una light novel è: scrivere!

Buona lettura!

Un ombrello in un giorno di pioggia

Erano le cinque di pomeriggio di una domenica di agosto. La tempesta infuriava, quel giorno, e nel mio cuore albergava una certa sensazione, una strana emozione che mi scosse nel profondo. Le mie orecchie erano tese, pronte ad udire i suoni rabbiosi di una natura ogni giorno sempre più selvaggia; il mio cuore spalancato sussultava all’unisono con i frequenti battiti del cielo. Quei feroci fulmini bianchi che squarciavano la tela di un dipinto altrimenti perfetto, mi terrorizzavano ed eccitavano allo stesso tempo.

Le previsioni meteo si erano sbagliate di nuovo. Non avevo idea che avrebbe iniziato a piovere, tanto meno che il clima si sarebbe ribellato con così tanta efferatezza. La mia pelle, e i miei capelli, un attimo prima pettinati alla perfezione, d’improvviso esplosero e vennero scossi con aggressività, come una verità d’un tratto messa a nudo, una verità che si è a lungo cercato di nascondere con ogni mezzo.

Camminavo per le strade deserte di una città solitamente in pieno fermento, accompagnata da null’altro che da uno strato di vestiti fradici e un registro di inutili preghiere, le cui pagine erano logorate a causa dell’usura.

Nonostante la stagione estiva, il suo naturale calore aveva abbandonato da tempo quel luogo, ora visitato dalla pioggia. Ciò mi spinse ad accucciarmi su me stessa il più possibile, a stringermi con quei piccoli mantelli che erano divenute le mie mani.

Cercai un riparo, ma invano. Attorno a me non c’erano altro che file di abitazioni e di edifici abbandonati. Persino i pochi alberi rimasti erano sfiniti, abbattuti dalla violenza della pioggia. E come se non fosse abbastanza, anche il vento si mise a fare la sua parte, sballottandomi in ogni direzione, impedendomi di mantenere il mio ritmo.

Non sapevo se sarei riuscita a tornare a casa, credevo di non farcela, e per il tempo di un secondo, un secondo soltanto, pensai di abbandonarmi alla sconfitta e di accovacciarmi in un angolo del marciapiede per riposare.

Ma poi, il miracolo avvenne. La pioggia smise di lavarmi i capelli e la superficie della mia pelle, inumidita dall’acqua, iniziò ad asciugarsi. Ma c’era dell’altro… Un’iniezione di calore che scaldava il mio braccio, un sospiro tiepido che soffiava sul mio orecchio.

Mi voltai, sollevai lo sguardo, in seguito, scoprendomi accanto ad una ragazza della quale ignoravo completamente l’identità.

«Lascia che il mio ombrello ti protegga.»

Fu con quelle parole che si presentò a me, fu il suo candore a bloccare qualunque mio tentativo di obiettare o porle anche una sola domanda.

Mi limitai a ringraziarla e a proseguire per la mia strada, un cammino che non ero più obbligata a percorrere da sola.

“Da dove vieni? Chi sei? Perché mi stai aiutando?”

Erano tante le domande che avrei voluto farle, ma ammaliata dalla sua stessa presenza, serbai il più rigoroso silenzio. Così mi limitai a ringraziarla, e per tutta la durata del nostro incontro il mio petto si sentì rapito da una sensazione indefinibile.

Il mio cuore incise il ritmo di una nuova canzone, i miei pensieri erano rivolti interamente a lei, ma pareva non essere abbastanza. Proprio quando credetti di iniziare a sbrogliare la matassa, quella ragazza fuggì via, stroncando i miei piani sul nascere.

Ma aveva dimenticato una cosa.

«E il tuo ombrello?» Le chiesi.

«Tienilo tu, a me non serve.» Mi sorrise dolcemente.

Fu l’incanto di quelle labbra leggermente piegate all’insù che mi impedì di accorgermi immediatamente che si stava allontanando da me ad una velocità allarmante.

«Ma… Aspetta! Dove corri? Così finirai per bagnarti tutta!»

La mia domanda la raggiunse, eppure… Era già troppo tardi, il mio tempo con lei si era esaurito.

Il suo viso cordiale continuò ad essere rivolto nella mia direzione, i suoi occhi luminosi fissarono i miei ancora per qualche istante, il tempo di pronunciare quelle che furono le sue ultime parole.

«Ne hai più bisogno tu.»

«Potremmo continuare ad usarlo insieme…» Sussurrai, come se temessi di farmi udire da lei.

A quel tempo non capii, così come continuo a non capire tutt’ora, come mai esprimere un così semplice concetto mi avesse provocato un tale imbarazzo.

Avrei voluto che mi guardasse, ancora una volta, ma si era già voltata. Ormai, non soltanto la sua figura era scomparsa dalla mia vista, ma persino i suoi passi appesantiti dall’acqua divennero improvvisamente silenziosi.

Non ero più in grado di vederla, o di sentirla. Mi sentivo talmente… Non lo so. Ma come mi sento ora? Non so nemmeno questo. Esisteva una sola certezza: quella sconosciuta mi aveva offerto un ombrello in un giorno di pioggia.

È di nuovo domenica. Alzo gli occhi al cielo per contemplarne la vista, ma la sola cosa che mi resta impressa si riduce ad un cumulo di nubi scure che minacciano di scatenare l’Inferno sulla Terra.

Forse… No, non può essere. Però… Pare proprio che sia come quella volta, quel giorno distante ormai di un anno che non sono mai riuscita a dimenticare.

Un tuono si esprime fragoroso, intanto che piccole gocce di pioggia iniziano a depositarsi sull’asfalto. Apro l’ombrello per ripararmi da essa, il suo ombrello, e inizio a correre, illudendomi di poter raggiungere casa mia prima che diventi impossibile. Il nulla mi circonda, o meglio, si tratta delle stesse strade che hanno segnato il mio cammino, quel giorno.

I ricordi iniziano a riaffiorare, il mio cuore si esibisce in un martellante tambureggiare che mi porta indietro di trecentosessantacinque giorni esatti. Mi aspetto che torni da me, che il tocco della sua carezza mi sorprenda nuovamente. Ma lo sento, sento dentro di me che qualcosa è cambiato, questa volta.

Difatti, quando torno a guardare la strada che ho davanti, riconosco quella chioma scura coccolata dalla pioggia e mossa dal vento. Corro, così tanto da logorare le mie scarpe, da affaticare i miei piedi, fino a che la tela dell’ombrello riesce finalmente a proteggerla.

«S-sei tu…» Balbetto in seguito, incapace di aggiungere altro.

Si volta verso di me, amplificando le mie emozioni.

«Ero sicura che saresti riuscita a trovarmi. Lo dicevo che sarebbe servito più a te che a me!» Risponde, solleticando la mia curiosità in merito al mistero che era la sua vita, la sua figura avvolta da un’aura di ineguagliabile splendore.

E quel sorriso… L’ha rivolto nuovamente verso di me. Anche ora, le sue labbra sembrano un implicito invito a catturarla, a seguirla nella vie tortuose di questa folle avventura.

È così vicina che quasi i nostri corpi infreddoliti si sfiorano. Mi perdo nella dolcezza dei suoi occhi, nella tenerezza del suo sguardo.

Lo voglio sapere, ho bisogno di conoscere il suo nome.

«Qual è il tuo nome?» Le domando.

Non mi ero resa conto di quanto poco siamo distanti, finché non mi accorgo che i nostri respiri sono ormai diventati uno solo. Le mie palpebre iniziano a cedere, stanche di rimanere immobili a fissarla, e nel tempo di un secondo le nostre labbra si incontrano, conducendo ad un duello equilibrato tra le nostre lingue.

L’ombrello sfugge alla mia presa, esponendo entrambe alla furia della tempesta. I miei sensi mi conducono in Paradiso, mentre la passione mi spinge a desiderare che la pressione delle sue mani su di me duri per sempre.

Ma nello spazio di un sogno, le mie fantasie svaniscono in un attimo.

«Sono solo una ragazza che ti ha offerto un ombrello in un giorno di pioggia.» Risponde.

Un passo, due passi, allungo il braccio cercando di afferrarla, ma scivola via da me danzando con grazia. I suoi movimenti sono come un ballo, diretti, felici, ed è per questa ragione che, benché abbia riempito il mio cuore di caos e confusione, non sono in grado di biasimarla per la sua attitudine alla fuga.

Per la seconda volta, mi trovo costretta ad osservarla correre via in mezzo alla pioggia. Per la seconda volta, la mia volontà viene sovrastata dalla sua.

Il suo ombrello giace spalancato ai miei piedi, per cui il simbolo della sua gentilezza continua a restare nelle mie mani. Ciò mi ricorda, nei momenti in cui sono sul punto di perdere la speranza, che non è stato tutto un sogno. Ogni cosa è possibile, nulla è irrealizzabile, fintanto che continuo a crederci veramente. E io ho fiducia nel fatto che riuscirò a rivederla. Un giorno, neanche troppo lontano, aprirò l’ombrello per lei e cammineremo di nuovo insieme sotto la pioggia.

Aveva ragione, comunque: ho più bisogno io del suo ombrello, e forse non smetterò mai di averne bisogno. Quell’oggetto è la sola cosa che mi lega a lei, l’unico mezzo tramite il quale mi è possibile raggiungerla.

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